La mattanza dei talenti
Le parole di Xavier Dolan pubblicate lo scorso luglio sono devastanti: l’ennesimo manifesto della morte del talento.
Conosco benissimo l’impossibilità di scandagliare le realtà di qualsiasi scelta altrui, è da coglioni mettersi a sindacare un destino, ma in questo stesso tempo la sua confessione divora ferocemente i miei pensieri invitando anche me, pedina storta di questa bel sistema di spaccio di opinioni virtuali, a vomitare un monologo che si autodistruggerà col tuo scrolldown.
Xavier dice di non voler più “avere a che fare con l’ansia di performare, di avere successo, d’essere amato. Non voglio dipendere dalla reazione degli altri. Voglio essere libero.”
Non so perché, sono certo che Xavier sappia bene che anche l’eremita votato alla sua grotta è profondamente interconnesso con il popolo a valle, in qualche modo si tesse tutt insieme, non c’è scampo, ma la tragedia è che l’intelligenza (ovvero anche il più misero meccanismo umano di elaborazione del dato oggettivo contemporaneo) non può non capire definitivamente che le dinamiche produttive stanno radendo al suolo qualsiasi possibilità di pensiero, di semina artistica, di aderenza a sé stessi.
È necessario vendersi – per dirla con Carmelo: essere acquistati.
Pare che le vie di fuga siano state tutte cementate. Ascolto in continuazione le voci di chi fa teatro disperarsi che non c’è pubblico, non ci stanno i corpi del rito – dietro un post dell’ennesimo sold out in realtà ci sono le macerie di chi è costretto a farsi pubblicità, creare attrazione, assemblare il teaser della propria poetica, incorporando la propria effettiva vendibilità di fronte ad una platea che si svuota.
Sarebbe questo il nostro lavorìo? Diventare uno slogan, farsi prezzo, essere seducenti a tutti i costi?
Io sono la fiera delle banalità, me ne rendo conto.
So anche che l’universo pornocapitalista ha bisogno della narrazione dissidente, che è essa stessa una consistente voce di bilancio, tutti i margini, queer, vegani, corpi non conformi, artist irriducibili alle norme del consumo, tutto mutaforma in logica iperproduttiva, dilaniabile, istagrammabile.
Stamani ho visto una madre che costringeva il figlio a posare per una foto, il bambino si ribellava, e allora lei “tuo fratello è venuto benissimo, tu no!”: il bambino voleva tuffarsi in acqua, non sui socials.
Insomma si tratterebbe di una caduta velocissima in cui è indispensabile apparire vittoriosi, fantastici, luminosi. Per me Xavier vince tutto, ci manda a cagare alla grande, guida la zattera della medusa col sorriso di chi ancora intuisce un vento di libertà. Galileo Galilei fu costretto, a 70 anni, a sottoscrivere una frase che diceva: “maledico tutto ciò che ho fatto” e io ancora piango quando provo ad immaginarmi questa scena.
L’altro giorno, guardando il cielo che si spegneva nel mare, B. mi raccontava del miracolo dei pani e dei pesci. Mi offriva un’altra versione, non quella dei superpoteri, ma la storia di una cena in cui ognuno dei partecipanti portò qualcosa, e da misero che era, il banchetto diventò un catering da paura.
L’unione fa la forza, same old story.
E allora in quel fuck off di Dolan ci stanno le grida di tante persone, tutta gente stanca di vendersi, o detto meglio: prostituirsi.
Che sentimento nobile, lo schifo.